E’ principio largamente noto che, nell’ordinamento italiano, atti e contratti debbano essere assoggettati a tassa di registro, nei termini previsti dal D.P.R. 131/1986 (c.d. TUR, Testo Unico sull’imposta di Registro) e secondo le aliquote ivi indicate.
Meno note, forse, sono le eccezioni a tale regola, eccezioni che possono riguardare tanto le tempistiche entro cui procedere alla registrazione, quanto le modalità di calcolo dell’imposta dovuta. In particolare, l’art. 1, comma 1, lett. a), della Tariffa, Parte Seconda, allegata al predetto TUR, prevede che i contratti formati mediante corrispondenza (ad eccezione di quelli per i quali dal codice civile è richiesta a pena di nullità la forma scritta e di quelli aventi per oggetto cessioni di aziende o costituzioni di diritti di godimento reali o personali sulle stesse) sono soggetti a registrazione, secondo le aliquote ordinariamente previste dal TUR in base alla tipologia di atto, solo in caso d’uso e non entro un termine fisso dalla loro conclusione.
Per la corretta applicazione di tale norma – evidentemente di grande rilevanza pratica – diviene quindi fondamentale stabilire esattamente quando un contratto possa dirsi concluso “mediante scambio di corrispondenza” e quando invece no.
La risposta al quesito, solo apparentemente banale, ha impegnato non poco gli interpreti, stante l’assenza di qualsivoglia definizione del concetto di “corrispondenza” da parte del legislatore tributario.
Fortunatamente, soccorrono a tal proposito gli interventi – rari ma concordi – della Corte di Cassazione la quale, muovendo da un’interpretazione sistematica della norma in commento, ha chiarito in quali circostanze un contratto possa effettivamente dirsi concluso per corrispondenza.
Ecco dunque che, rinvenuta la ratio della norma in esame nello “scopo di non intralciare, con inutili appesantimenti burocratici, la prassi commerciale” (Cass. Civ., 04.08.2020, n. 16662) e rilevato altresì che, per contro, l’imposizione alle parti dell’onere di attuare – prima – e dimostrare – poi – un effettivo scambio epistolare dei documenti contrattuali avrebbe evidentemente ed insanabilmente contrastato con tale finalità (Cass. Civ., 07.06.2018, n. 19799), il Supremo Collegio giunge alla conclusione per cui, ai fini in esame, il concetto di “corrispondenza” non può farsi coincidere, riduttivamente, con la sola corrispondenza epistolare. Al contrario, “ai fini dell’imposta di registro, il contratto stipulato per corrispondenza si distingue dal contratto stipulato per scrittura privata non autenticata per il fatto che nel secondo caso vi è un solo documento nel quale risultano formalizzate le volontà di tutti i contraenti e le loro sottoscrizioni, mentre, se si tratta di ‘corrispondenza’, in ogni documento è raccolta la volontà unilaterale di un solo contraente”, e ciò ancorché lo scambio di tali documenti sia avvenuto brevi manu (Cass. Civ., 20.11.2017, n. 30179; richiamata dalle successive conformi Cass. Civ., 07.06.2018, n. 19799, Cass. Civ., 04.08.2020, n. 16662).
Tali conclusioni sono state recentemente confermate dalla Corte di Cassazione, la quale con ordinanza 24.08.2021, n. 23414, ha ribadito ancora una volta che “ai fini dell’imposta di registro, il contratto stipulato per corrispondenza si distingue dal contratto stipulato per scrittura privata non autenticata per il fatto che nel secondo caso vi è un solo documento nel quale risultano formalizzate le volontà di tutti i contraenti e le loro sottoscrizioni, mentre, se si tratta di ‘corrispondenza’, in ogni documento è raccolta la volontà unilaterale di un solo contraente (cfr. Cass. n. 30179 del 2017, in motivazione), ed il cosiddetto ‘scambio di corrispondenza commerciale’ è soggetto, quindi, al pagamento dell’imposta proporzionale di registro solo in caso d’uso e non in termine fisso (entro venti giorni), scontando l’imposta proporzionale nella misura del 3%, in base all’art. 9, Tariffa, Parte Prima, allegato A, del d.P.R. n. 131 del 1986”.