La Suprema Corte è recentemente tornata sul tema dell’abuso del diritto, chiarendo che la domanda di preconcordato (con effetto protettivo del patrimonio del debitore da azioni esecutive, pur se non accompagnata dal piano di concordato) è inammissibile se meramente dilatoria.
Lo strumento del concordato, anche “in bianco”, funzionale al risanamento del debito aziendale, non può infatti essere piegato dall’imprenditore al perseguimento di finalità confliggenti con quelle del legislatore.
Pronuncia condivisibile e da salutare con favore; peccato però per i molti paletti posti alla valutazione degli indici di abusività: per la Corte sono infatti neutri, in sé, i tempi di presentazione della domanda di preconcordato, la richiesta del termine di 60 giorno per il successivo deposito del piano, ed infine la mancanza di indicazioni operative a corredo della domanda. Considerato che la fase preconcordataria si svolge quasi sempre in assenza di contraddittorio con i creditori, poteva essere questa l’occasione per individuare tempestivi indici di abusività, superando una lettura del dato normativo formalmente ineccepibile, ma che non tiene conto del concreto ed ordinario svolgimento delle procedure in esame.